Virtual Influencer: casi e opportunità per i brand

Virtual Influencer: casi e opportunità per i brand

Dei Virtual Influencer abbiamo già parlato due anni fa come di un fenomeno nascente, mettendo in evidenza i profili più noti. Oggi la tecnologia ha fatto enormi passi in avanti, i consumatori si stanno abituando a personaggi digitali e dunque le opportunità per le aziende sono molto più concrete.

Gli influencer virtuali in realtà sono personaggi CGI (Computer-Generated Imagery) cioè creati attraverso l’utilizzo di software per la modellazione 3D come Maya, Houdini, Cinema 4D, Unreal Engine, ZBrush, Modo, 3ds Max, Daz Studio, Blender.
Si tratta di programmi molto sofisticati che permettono di riprodurre molto realisticamente le fattezze umane o di inventarne di nuove. Inoltre rendono più semplice rispetto al passato l’animazione degli stessi per la creazione di video da postare sui social media.
Oggi esistono circa 200 virtual influencer molto diversi tra loro: possono avere tratti umanoidi (come Lil Miquela e Shudu), fantastici (come Noonoouri e Meka) o assomigliare ad animali (come Janky e Guggimon).

I consumatori sono cambiati

In questi anni è anche cambiato l’atteggiamento delle persone nei confronti dei virtual influencer. Soprattutto da parte di coloro che sono abituati ad interagire con avatar, come i più giovani che li usano per esplorare i mondi digitali dei videogame, ma non solo.
Un recente studio sui consumatori americani ha rilevato che:

  • il 58% segue almeno un virtual influencer;
  • il 24% di chi non li segue, non li conosce;
  • il 27% segue i virtual influencer per i loro contenuti, il 19% per lo storytelling e il 15% perché ne sono ispirati;
  • gli utenti con età 25-44 sono quelli che si fidano di più dei creator digitali quando consigliano un prodotto;
  • il 35% ha comprato un prodotto promosso da un virtual influencer.

Un recente studio sui consumatori americani ha rilevato che il 58% di essi segue almeno un virtual influencer e il 35% ha comprato un prodotto promosso da un virtual influencer.

Casi di brand

Questi risultati raccontano di una mutazione che sta avvenendo: i rapporti di fiducia online si possono costruire anche tra persone in carne ed ossa e personaggi sintetici. Alcune organizzazioni lo hanno capito da tempo ed hanno già sperimentato con successo l’uso degli influencer virtuali nelle loro campagne di marketing, secondo modalità diverse:

  • L’Organizzazione Mondiale della Sanità, durante la pandemia, ha collaborato con Knox Frost per promuovere le buone pratiche per evitare il contagio e incentivare le donazioni;
  • Prada per il lancio del suo profumo ha creato Candy, una musa virtuale, che ha lanciato lo slogan “rethink reality”;
  • Lil Miquela, la più popolare con i suoi 3 milioni di follower, sostiene il movimento Black Lives Matter e promuove brand come Samsung, UGG, Calvin Klein, Prada;
  • Shudu, la prima virtual top model con oltre 200.000 follower, ultimamente ha lavorato per Furla, Tod’s, Shiseido, Hyundai;
  • Noonoouri, seguita da circa 400.000 persone, posa insieme a Bella Hadid per Versace (indossando i colori dell’Ucraina) e a Chiara Ferragni per MiuMiu;
  • Yoox ha creato Daisy, un assistente virtuale per aiutare i clienti nella fase di scelta dei capi da acquistare, che su Instagram ha oltre 650.000 follower;
  • KFC ha realizzato la versione 3D del suo iconico Colonnello per una campagna ironica in co-branding con Dr Pepper, Old Spice, TurboTax e Casper.

Perché un brand dovrebbe coinvolgere un virtual influencer?

Il primo motivo è che utilizzare personaggi sintetici permette al brand di farsi percepire come innovatore, ma anche di sperimentare un nuovo modo di comunicare, più libero e fresco.

Il secondo motivo ha a che fare con quello che il teorico dei media Henry Jenkins chiama “transmedia storytelling”. Vale a dire che  l’utilizzo di virtual influencer permette di lavorare con facilità in diversi ambienti digitali, non solo sui social media, ma anche nei videogiochi e nei metaversi. Lo stesso personaggio può essere adattato a vivere più avventure e raccontare storie coerenti con la marca a diversi pubblici, in diversi momenti.

Il terzo motivo riguarda la capacità attrattiva dei virtual influencer rispetto ad audience difficili da coinvolgere attraverso altre modalità di comunicazione. Attorno a questi personaggi si aggregano community di fan molto coese che possono essere raggiunte senza snaturare lo stile espressivo del virtual influencer.

Infine c’è un motivo che riguarda la predicibilità dell’investimento e il controllo nell’esecuzione della campagna. L’attività di un virtual influencer non dà luogo a sorprese inaspettate, viene definita e controllata nei minimi dettagli dal brand. Quindi la brand safety è assicurata.

Se il tema ti ha incuriosito, contattaci per capire come ottenere il massimo dal coinvolgimento di un virtual influencer.

ph: Shudu

gianluca perrelli

Inserito da Forbes nella classifica dei top 100 manager italiani del 2021, Gianluca Perrelli è un imprenditore con oltre 20 anni di esperienza passati tra lancio e sviluppo di note iniziative imprenditoriali digitali come Kiver -primo Influencer network in Italia- poi ceduto a Mondadori. Gianluca è autore del libro “Homo Influencer”. Oggi è CEO di Buzzoole, membro del CdA di Luisa Via Roma, mentore dell’incubatore I3P di Torino, e docente del master “Influencer & Celebrities” alla Luiss Business School.

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