Da leva isolata, usata con l’approccio sperimentale dei primi anni, oggi l’Influencer Marketing è considerato uno strumento agile e una leva dinamica nel panorama del marketing, inserito strategicamente nella programmazione media delle aziende. Al tempo stesso, negli anni si è consolidata una maggiore consapevolezza dei decision maker sull’uso della tecnologia, cioè sulla necessità di lavorare con tool specializzati per gestire tutte le fasi delle campagne e misurare accuratamente l’efficacia dei risultati.
Questi software, oltre ad ottimizzare tutte le fasi dell’Influencer Marketing, stanno assumendo un ruolo di supporto anche nella governance di altri processi aziendali. Uno di questi è sicuramente quello dell’Employer Branding, il cui flusso di comunicazione sempre più spesso prevede l’utilizzo di tutte le principali piattaforme social coinvolgendo, oltre ai canali aziendali, anche i dipendenti, i quali diventano a loro volta influencer aziendali.
Secondo uno studio recente di L45, società di consulenza specializzata in strategie e attività di corporate reputation & employer branding, le aziende riconoscono l’importanza dell’Employer branding per la loro reputazione e svolgono attività di EB soprattutto tramite contenuti sui social media aziendali. Inoltre, il 77% degli intervistati ha dichiarato che fare employer branding su TikTok consente di far conoscere meglio un’azienda. E’ evidente che l’employer branding sui social è diventato un’attività cruciale per le organizzazioni, soprattutto in un contesto sempre più competitivo come quello dell’attrazione e la retention dei talenti.
La tecnologia può rivelarsi un ottimo alleato per gestire tutte le complessità che un’attività di successo sui social può richiedere, dalla content intelligence, utile per scoprire le attività svolte dai competitor, alla gestione operativa dei profili e dei contenuti sui social, fino alla reportistica in tempo reale dei risultati.
Il dipendente influencer
Il dipendente è il nuovo influencer, un tesoro che può accrescere la portata reputazionale dell’azienda (come raccontano La Repubblica, Il Sole 24 Ore). Tra gli elementi che caratterizzano questo fenomeno, a livello globale, c’è sicuramente la maggiore propensione del Top Management aziendale nel formare i dipendenti a diventare dei veri e propri influencer sia all’interno che all’esterno dell’azienda.
Per avere un’idea basti pensare che tra le prime azioni intraprese col rebranding di Meta, Mark Zuckerberg ha trasformato i dipendenti in “Metamates”.
Bisogna considerare però che in molti casi i dipendenti di un’azienda potrebbero avere fanbase meno sviluppate degli influencer più blasonati, ciò significa che la maggior parte di essi potrebbe essere annoverata in due figure specifiche, che in Buzzoole definiamo Nano Influencer (profili social con meno di 10.000 followers) e Micro Influencer (profili da 10.000 a 100.000 followers). Una caratteristica da non sottovalutare, in quanto può rappresentare un reale vantaggio per diversi motivi. Ad esempio, i profili di influencer che hanno numeri contenuti di follower spesso sviluppano un rapporto di fiducia con essi. Sono percepiti come credibili e genuini, considerati sullo stesso piano dei follower, al contrario di quello che avverrebbe invece con le social star e le celebrità. Questo rapporto privilegiato può permettere ai brand di veicolare messaggi che hanno un’alta probabilità di essere recepiti. Inoltre, questo collegamento con community coese e affezionate può portare anche un altro vantaggio per le aziende: la possibilità di attingere ad un potenziale focus group di persone appassionate di un certo tema. Lo stesso discorso vale per le aziende che vogliono raggiungere audience che insistono su uno specifico territorio. I “local creator” possono risultare molto efficaci per azioni di Influencer Marketing hyperlocal. Un altro vantaggio può presentarsi anche rispetto alle performance di Engagement. Già nel nostro rapporto sui benchmark dello scorso anno emergeva che i più piccoli riescono ad ottenere un miglior engagement rate (rapporto tra interazioni e follower).
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Il ruolo della tecnologia
Ancor prima della progettazione dell’attività di comunicazione sui social, un tool adeguato può rivelarsi cruciale nel condurre analisi delle attività svolte dai propri competitor o in quella delle conversazioni attorno al settore d’interesse. La competitive intelligence lascia, poi, il posto alle tre fasi più critiche della campagna che si sta progettando, che sono:
- Qualificazione degli influencer. La fase più onerosa in termini di tempo per le aziende perché non è semplice riuscire a confrontare i profili in short list senza avere un sistema che mostri metriche significative e sia in grado di confrontarle con benchmark di riferimento.
- Gestione operativa delle attività. Anche il workflow di un’attività può essere alleggerito e ottimizzato attraverso un software ad hoc che permetta di gestire la scrittura del brief delle attività, l’attivazione dei profili social coinvolti nel progetto, l’approvazione o la pubblicazione dei contenuti.
- Misurazione dei risultati. Un software adeguato permette di seguire in tempo reale l’andamento delle attività sui social e di analizzare dettagliatamente i risultati finali. Impression, reach, interazioni, audience raggiunta e tanti altri KPI sono indispensabili per comprendere l’efficacia di un’attività e prendere le opportune decisioni per quelle successive.
Il workflow di un progetto di successo può presentare diverse complicazioni, che la tecnologia può aiutare a gestire efficacemente. Per capire come la tecnologia Buzzoole Suite può aiutarti anche nella governance dei processi di employer branding, contattaci.
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