Vi ricordate quando si era più giovani? C’erano i PR delle discoteche che “sbigliettavano” lungo la strada, nei posti di villeggiatura, lo ricordate?
La cosa funzionava più o meno in questo modo: le disco avevano diversi modi per far sapere quanto fossero fiche ma quello certamente più funzionale allo scopo era farlo dire da quelli che erano fichi e che frequentavano i luoghi. E qual era la caratteristica di queste persone?
La credibilità. Ovviamente non erano credibili come scienziati atomici o come studiosi di grammatica latina, ma erano abbastanza credibili da garantirti, solo per il fatto che ci fossero loro, una bella serata. Sì perché quello li, sì lui, lo conosci no? Ha lavorato in un sacco di disco fichissime e quindi, se lavora in quella, vorrà dire che è bella pure lei. Persone che, grazie alla loro esperienza, erano in qualche modo “garanti” del fatto che in un luogo ci si divertisse: sì perché nessuno abbastanza cool avrebbe lavorato per una disco da sfigati.
Ecco, quello che ho appena spiegato è l’influence marketing al tempo della discoteche, nel cretaceo pre internet. Poi è arrivata la Rete e i social, queste persone si sono estinte oppure evolute e tutto è cambiato, pur mantenendo la stessa forma. Diciamo, ecco, che è cambiato il canale comunicativo, non la sostanza. Riporto un passaggio del mio primo libro,
“rischi e opportunità del Web 3.0” per spiegare meglio quello di cui stiamo parlando:
“Peter Kropotkin era un anarchico intellettuale russo nato a metà dell’800 ed in un certo senso è stato il precursore di quella che possiamo definire economia della reputazione. Non in questi termini, certo, ma Kropotkin aveva teorizzato una società in cui tutti avrebbero svolto il proprio lavoro, o ciò che sarebbe stato necessario fare, senza alcuna remunerazione perché i benefici delle loro azioni sarebbero ricaduti sulla comunità tutta rendendo il lavoratore degno di fiducia e di buona reputazione.”
Reputazione, credibilità, responsabilità.
Ammettiamo che la compagnia telefonica X mi dia un telefono da provare e da recensire, ed ammettiamo poi che mi dica che, qualunque cosa io scriva, il telefono sarà comunque mio.
Quello che devo fare è provarlo, certo, ma se poi non va bene? Devo dire la verità, o per lo meno la mia verità, perdendo l’appoggio dell’importante X ma mantenendo un rapporto di onestà con le persone che mi leggono e con le quali ho un rapporto di fiducia? Oppure devo dire una bugia, indorandomi i potenti ma falsificando il mio pensiero ed, in pratica, fregando i miei lettori? Se scrivo che è un ottimo device qualcuno lo comprerà e, se si troverà male, la colpa sarà mia, minando quindi la mia parola e la fiducia nei miei confronti. Questa è la credibilità, cioè la fiducia che gli altri hanno nei nostri confronti. E’ una cosa che si crea con i tempo, con gli anni, e che va a costruire la nostra reputazione.
Capite, di cosa parliamo, dicendo influence marketing? Reputazione, credibilità, responsabilità.
Se manca una della tre stiamo parlando di altro.