Dopo aver parlato di Metaverso, è il momento di introdurre un’altra parola chiave che potrebbe diventare importante per brand e creator: Web3. Per capire cosa s’intende è bene fare un passo indietro.
Il web 1.0, quello che va dal 1991 al primi anni del 2000, era quello fatto da tanti siti statici creati da aziende e da sviluppatori professionisti. Tutti gli altri potevano limitarsi a navigare tra contenuti fatti di testi e immagini. Era una rete di “sola lettura”.
Bisognerà attendere il 2004 per avere una prima formalizzazione del termine web 2.0 che viene usato dall’editore Tim O’Reilly per indicare una rete più partecipativa, caratterizzata da servizi che semplificano la creazione e la condivisione di contenuti, oltre che la comunicazione tra persone. Per esempio Blogger e WordPress per pubblicare blog/siti e i social media che tutti conosciamo, da YouTube a Facebook, per esprimersi usando diversi formati. Questi servizi offrono strumenti creativi, ma anche palcoscenici rivolti a pubblici potenzialmente molto ampi. Nascono così gli influencer.
Col tempo però sono diventati evidenti anche i problemi di questo modello di web. Le piattaforme beneficiano della presenza dei creator, che portano pubblico e contenuti, ma in cambio restituiscono poco valore: una certa quota di visibilità e le briciole degli incassi provenienti dalla pubblicità.
Il Web3 dovrebbe provare a risolvere questi problemi.
Col termine si indica una rete e dei servizi decentralizzati grazie alla tecnologia blockchain. In pratica, questi servizi operano su una rete di calcolatori peer to peer e non servendosi di server centralizzati, come accade oggi. Questo dovrebbe togliere potere alle aziende social che conosciamo e restituirlo agli utenti (ergo ai creator).
Oggi esistono diverse applicazioni decentralizzate che sfruttano la blockchain in ambito finanziario o nei giochi, ma ancora pochi quelli nell’ambito della creazione di contenuti. Non esistono dei veri e propri social media decentralizzati, anche se Twitter ci sta lavorando (progetto Bluesky).
Però ci sono applicazioni, come Rally, pensate per permettere ai creator di emettere una propria criptomoneta personalizzata, che possono distribuire gratuitamente ai fan più attivi e farla acquistare per ottenere dei benefici esclusivi. In questo modo il fan può finanziare il creator e contemporanemente scommettere sul suo successo, dunque guadagnare se cresce il seguito del suo beniamino.
C’è Mirror un sito di publishing nel quale i creator possono farsi finanziare i propri saggi da mecenati interessati al completamento dell’opera. Oppure il servizio permette di trasformare un blog post in un NFT da mettere in vendita. In questo modo il creator monetizza direttamente il suo lavoro e il compratore ha una prova del suo supporto.
Se vi state chiedendo cosa vuol dire NFT, vale la pena di approfondire. Gli NFT (Non Fungible Token) sono un importante mattoncino del Web3 che si sta costruendo. Si tratta di “applicazioni” (smart contract) che girano su blockchain e che servono a certificare il possesso di un oggetto digitale o reale. Oggi i creator che hanno capacità artistiche possono “mintare” le proprie opere (ossia trasformarle in NFT) in modo da renderle scarse e appetibili per potenziali acquirenti (qui gli italiani di maggior successo). Gli altri possono usare le piattaforme sopra descritte o attendere l’evoluzione delle piattaforme social. Zuckerberg ha svelato che presto sarà possibile trasformare le proprie foto e video su Instagram in NFT.
Gli NFT sono anche territorio di sperimentazione da parte delle aziende. Tra queste Dolce & Gabbana, Gucci, Coca Cola, Warner Music Group, Adidas, Givenchy, Burger King e tanti altri. Anche noi di Buzzoole abbiamo creato una collezione di immagini digitali associate a 100 bottiglie di gin. Al momento lo scopo è quello di esplorare la vendita di prodotti digitali di qualità (gli abiti sartoriali di D&G) e l’utilizzo dei token come biglietti che danno accesso a benefici specifici (eventi o prodotti esclusivi).
Le potenzialità degli NFT sono enormi sia per creator che per brand, ma di questo parleremo più approfonditamente in un prossimo post. Seguiteci, iscrivendovi alla nostra newsletter.