C’è un virus in giro, un virus capace di condizionare, in positivo o negativo, la nostra vita. Forse è meglio dire capace di influenzare noi e chi ci sta vicino. No, non preoccupatevi, nulla di grave o contagioso. Sto parlando della reputazione, ovvero l’insieme di tutti gli elementi che contribuiscono a formare il giudizio che la gente ha di una persona, di un marchio. Questa attiene alla credibilità che abbiamo all’interno di un gruppo sociale ed è capace di segnare profondamente il nostro percorso.
Un fattore che troppe volte viene considerato (erroneamente) intangibile, ma che in realtà è in grado di avere un enorme impatto sulle performance personali e d’impresa.
Siamo così sicuri che saremmo in grado di fidarci e collaborare con una realtà che i più definiscono negativamente? Probabilmente no.
È vero, si parla pur sempre di voci (spesso poco attendibili), ma queste sono comunque in grado di condizionare e condizionarci
Una carta d’identità, la reputazione, che parla di noi e per noi, plasmando quel substrato informativo fatto di opinioni e pareri, quello stesso substrato a cui gli utenti oggi partecipano ed attingono gran parte delle informazioni pre-acquisto.
Un fenomeno definito da Google nell’ormai noto Zero Moment of Thruth e che costringe i brand a ripensare nettamente il proprio modo di comunicare. Non basta più la voce dell’azienda, ma anzi, questa nella maggior parte dei casi passa in secondo piano a favore, invece, delle tante conversazioni che popolano social e web.
Niente di cui stupirsi, come diceva il Cluetrain Manifesto:
“Non ci sono segreti. Il mercato online conosce i prodotti meglio delle aziende che li fanno. E se una cosa è buona o cattiva, comunque lo dicono a tutti.”
Succede tutti i giorni: proviamo un servizio/prodotto e ne raccontiamo l’esperienza sui social, andando così ad influenzare i futuri possibili compratori. Una voce, la nostra, reale e spontanea, perfettamente simile e aderente a quella degli altri target e proprio per questo dal grande impatto. L’affinità con chi parla, un valore da non dimenticare. Mai.
Influencer e reputazione
Uno stretto, strettissimo legame unisce la figura degli influencer e il concetto di reputation. È proprio tramite quest’ultima che gli influencer sono in grado di divenire figura credibile e centrale per un network di persone.
Facendo leva sulla reputazione è possibile spingere la gente a fidarsi, facendone un punto di riferimento da cui ottenere opinioni attendibili e veritiere. Senza una reputazione positiva diventa impossibile ottenere quella doverosa autorevolezza, quella fiducia che permette agli influencer di amplificare messaggi e pareri, andando al contempo a influenzare la propria audience.
Sta in questo il reale plus dell’influencer marketing, nel riuscire a svestire la comunicazione aziendale delle ormai superate sovrastrutture commerciali e farla divenire credibile agli occhi dell’utente. Un percorso autentico e spontaneo per chi legge.
Non è infatti, come tanti ancora credono, una questione di fama, celebrità o numero di follower, bensì la capacità di aggiungere trust a un messaggio e renderlo più vero e perciò impattante.
Tutti siamo nel nostro piccolo influencer, perché in grado di essere credibili per la nostra, seppur minuscola, cerchia. Non bisogna mai sottovalutare il valore dei power middle, quella categoria di utenti meno noti e seguiti, ma estremamente attendibili nel fare da medium alla comunicazione. Utenti, fan, dipendenti, figure sempre più da coinvolgere, sempre più rilevanti per ottenere risultati. Come detto è molto più facile credere a chi ci somiglia, a chi ha le nostre necessità e i nostri problemi.
Basta con testimonial e vip, si parte sempre da chi già ci ama, perché questi sono il miglior viatico a dar vita a conversazioni e relazioni convincenti.