Brand e questioni sociali: come reagire?

I social media stanno diventando, in sempre più occasioni, uno spazio di confronto politico, basti pensare al ruolo di Twitter durante le elezioni americane del 2016. I social sono infatti  un canale di comunicazione di massa dove eventi politici, idee, proteste e petizioni vengono condivisi alla velocità della luce.

Dal momento che per i brand, la presenza su questi canali  è di fondamentale importanza, può capitare che si ritrovino coinvolti in conflitti e discussioni politiche, loro malgrado. È anche vero che essere associati a valori etici positivi è diventata una questione sempre più importante, soprattutto negli ultimi anni. La campagna #StopFundingHate, ad esempio, ha lo scopo di incoraggiare i brand a ritirare dalle riviste le pubblicità non etiche e di parte. Sempre più brand si stanno concentrando sulle questioni umanitarie e ambientali e in generale c’è un’aspettativa crescente per una identità etica e politica a tutto tondo. Finché le persone continueranno ad aspettarsi che i brand si schierino in qualche modo sui social media, sarà molto difficile per loro tirarsi indietro di fronte ai dibattiti politici e sociali.

In un momento in cui anche il non fare nulla rappresenta uno schieramento politico, come fanno i brand a capire quale sia il modo migliore di comportarsi? Per cercare di rispondere a questa domanda spinosa, esploriamo alcuni esempi di brand che hanno gestito questioni politiche e sociali sui social media.

La celebre marchio della zuppa in scatola Campbell’s, ha mostrato il suo supporto alle famiglie LGBTQ in uno spot in cui mostra una tranquilla cena in famiglia in cui due papà cercano di convincere il figlio a mangiare cimentandosi in imitazioni dei personaggi di Star Wars. Si tratta di uno spot molto emozionale che sfida le normali aspettative che ruotano attorno ai concetti di famiglia e paternità, il tutto è condito da esilaranti sketch di Chewbacca! La campagna ha incluso anche l’hashtag #RealRealLife, con lo scopo di promuovere la vita quotidiana della famiglia moderna.

Sebbene lo spot abbia ricevuto alcuni feedback negativi, i consensi sono stati di gran lunga superiori, tanto che sono stati gli stessi utenti a rispondere ai contestatori, dando un aiuto non indifferente al team di Campbell’s. Un utente, Mike Melgaard ha addirittura creato un account fake, Campbell’s ForHelp, in cui rispondeva personalmente ai commenti negativi, come fatto già in precedenza per i brand Doritos e Target. I suoi account fake spesso si confondono con quelli originali dei brand, il che può sicuramente causare confusione, ma in generale l’effetto ottenuto è stato molto positivo e la reputazione del brand ne ha tratto grande beneficio.

Quello di Skittles è un altro esempio interessante in termini di strategia social legata a questioni politiche. Nel 2016 il brand ha preso le distanze dalla campagna Trump a seguito di un’analogia fatta da Trump JR tra il noto brand di caramelle e l’immigrazione. L’anno successivo Skittles si è schierato in maniera molto decisa con il Pride, rimuovendo i colori dalle confezioni e dalle caramelle stesse. Sebbene alcuni abbiano contestato l’efficacia di questo tipo di supporto, il brand è riuscito a spingersi oltre con lo slogan “Solo 1 arcobaleno conta” e donando 2 cent per ogni confezione venduta alle associazioni a supporto della comunità LGBTQ.

La differenza tra il primo esempio e il secondo è che il primo brand è stato coinvolto in una questione politica, mentre nel secondo caso ha deciso volontariamente di schierarsi su un determinato argomento. Nell’esempio di Trump JR, Skittles non ha utilizzato la menzione per scopi di PR, ma questo ha avuto comunque degli effetti sulla reputazione pubblica del brand. In questo modo sono usciti dalla situazione con un’immagine vincente dissociandosi dalla nube di scandalo suscitata dal tweet incriminato. Nel secondo caso Campbell’s, come molti altri brand, ha scelto volontariamente di usare la sua visibilità per dare sostegno a questioni sociali, come quelle relative alla comunità LGBTQ. Si è trattato di una campagna studiata minuziosamente in ogni dettaglio e questo è estremamente importante quando un brand si approccia a questioni sensibili. In questi casi infatti è bene studiare accuratamente la questione, avvalersi di analisi e consigli di esperti e soprattutto è necessario valutarne tutte le possibili ripercussioni per poter organizzare un eventuale piano di crisis management. Usare movimenti sociali per scopi pubblicitari può essere molto rischioso, basti pensare alla caduta di stile di Pepsi con lo spot della finta protesta guidata da Kendall Jenner.
Inoltre quando si tratta di affrontare temi sociali, è bene scegliere qualcosa che abbia un legame con la propria nicchia di riferimento. La zuppa Campbell’s ad esempio è un prodotto che si rivolge alle famiglie, quindi considerare tutte le tipologie di famiglie nella sua strategia è stata senz’altro una mossa vincente. Quello che bisogna pensare è: ha senso che il mio brand dica la sua su questo argomento? Come per ogni cosa che avviene sui social media, l’autenticità è la chiave, perciò è importante che la tematica che si sceglie di affrontare non risulti forzata. Il brand Ariel, ad esempio, ha affrontato con grande pathos la questione delle donne e del loro ruolo all’interno del nucleo familiare attraverso la campagna #ShareTheLoad. Chiaramente questo rientra nella loro area di interesse e rappresenta al tempo stesso una questione chiave per una demografica ben precisa a cui si rivolge il brand.

Lo spot mostra un padre che guarda la figlia prendersi cura di suo figlio e di suo marito dopo una giornata di lavoro e riflette sul fatto che a nessuno di loro è mai stato insegnato a superare le barriere dei ruoli di genere in casa. La sua voce narrante legge una lettera di scuse e lo spot si conclude con lui che torna a casa e aiuta sua moglie a fare il bucato, la quale a sua volta gli mostra come usare la lavatrice. È una pubblicità molto delicata e commovente con una call to action ben chiara: “Dads, share the load” giocando sul doppio significato di “load” come “carico (della lavatrice)” e come “peso delle attività domestiche”. La campagna è stata premiata campagna dell’anno agli M&M Global Awards 2016 e ha ricevuto moltissimi feedback positivi. Lo scopo della campagna era quello di lanciare il prodotto Ariel Matic in India, Pakistan, Bangladesh e Sri Lanka, ma il contenuto ha finito col diventare virale in 22 paesi e tradotto in 16 lingue; infatti Ariel ha usato quel contenuto anche in mercati molto distanti come Germania, Portogallo e Spagna. Questo mostra che una campagna può essere molto efficace se riesce a catturare nel modo giusto l’attenzione e la sensibilità del suo pubblico.  
Un altro brand che si è concentrato sulle questioni ambientali e anche politiche è Ben & Jerry’s con la campagna Save our Swirled contro il riscaldamento globale. Nel loro post di commento alla campagna si descrivono come “un’azienda con una passione per la giustizia sociale”. Il brand ha creato un gusto proprio per questa causa chiamato Save Our Swirled, accompagnato dallo slogan “Se si scioglie è rovinato!”, portando in questo modo la questione ambientale all’interno del proprio copy. In questo modo Ben & Jerry’s usa il gusto del gelato per sensibilizzare il proprio pubblico, cercando di rimanere il più possibile un brand eco-friendly.

Il dibattito circa la posizione dei brand sulle questioni politiche è controverso. Alcuni credono che sia meglio essere neutrali poiché i clienti possono avere diversi schieramenti politici, mentre altri credono che sia fondamentale che anche i brand si schierino. Dopotutto, i brand sono fatti di persone, ognuna delle quali con una propria opinione politica. Secondo Simon Mainwaring, autore di We First, il settore privato dovrebbe essere “il terzo pilastro del cambiamento sociale a supporto dello stato e della filantropia”, e che è “uno dei mezzi più potenti per essere utili per i tuoi consumatori e mostrare che le tue preoccupazioni non riguardano solo il tuo brand”. Secondo un sondaggio di 4A e del partner di ricerca SSRS, “i consumatori non cercano brand che assumano posizioni su questioni politiche o sociali. Infatti spesso in questi casi i rischi sono maggiori dei benefici”. Tuttavia il 72% degli intervistati ha affermato di non essere propenso ad acquistare da un brand che considera razzista oppure contro i diritti LGBTQ. In ogni caso, essere associati a concetti negativi ha un impatto molto più grande rispetto ad essere associati a valori positivi. Solo il 25% degli intervistati ha affermato di essere molto propenso ad acquistare prodotti da brand pro-LGBTQ e il 21% da brand che manifestano un’apertura di vedute. Come mostra questo studio, i brand devono soppesare i rischi che possono derivare da messaggi politici. Per la maggior parte l’obiettivo è quello di apparire neutrali, o perlomeno di non essere associati a notizie negative, più che di ingaggiare gli utenti in proteste politiche. Detto ciò, quando è ben fatto, come negli esempi sopra riportati, questa strategia può dare vita a campagne di successo e fidelizzare i clienti.

Visto l’uso dei social media nel dibattito politico attuale, è inevitabile che i brand saranno toccati dalla politica e in quanto brand sta a te decidere se e quando intervenire. L’importante è pianificare la tua risposta in maniera precisa e attenta; esamina le diverse angolature della questione e, se necessario, consulta degli esperti. Come mostra la campagna Campbell’s, se è una questione di punti di vista, allora è molto più efficace rimanere coerente con il tuo messaggio originale. Sebbene ci sia sempre il rischio di allontanare dei potenziali clienti, l’essere coerente facendo qualcosa di un po’ più rischioso ti permetterà di ottenere rispetto e fedeltà da parte del tuo pubblico.

In sostanza, per dirlo con le parole di Ben Parker: “da un grande potere, derivano grandi responsabilità”.

Immagine di copertina: Walid Berrazeg 

 

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